Alla ripresa dell’attività sportiva, terminato il Lockdown, si è evidenziato un picco di infortuni tra i giocatori di calcio. Ma quali sono le ragioni di questo incremento?
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Cosa è successo?
Al momento della ripresa dell’attività sportiva, dopo tre mesi di stop forzato, le testate giornalistiche sportive hanno evidenziato un picco di infortuni tra i giocatori di serie A che hanno ricominciato a giocare il, molto discusso, finale di campionato. La Bundesliga, che ha iniziato per prima le partite ufficiali, ha registrato una crescita del doppio degli infortuni a partita.
Quali ipotesi possiamo ragionevolmente fare? Solo coincidenze? Oppure gli atleti non si sono allenati nel periodo di lockdown?
Niente di tutto ciò. Queste sono ipotesi da tifosi, ma la realtà dei fatti è un’altra e i tecnici del settore sapevano che si poteva andare incontro a questa situazione.
Le analisi fatte dagli Sport Scientist
Una pubblicazione del giornale scientifico “Science and Medicine in Football” a firma di Franco Impellizzeri (University of Technology Sydney), Martino Franchi (Università di Padova), Fabio Sarto (Università di Padova), Tim Meyer (Saarland University) e Aaron J. Coutts (University of Technology Sydney) ci spiega il perché di questo innalzamento degli infortuni nel periodo post lockdown.
Gli Sport Scientist partono da tre assunti che danno per comprovati:
- una riduzione della quantità e della qualità dell’allenamento fa decrescere i parametri fisiologici fondamentali per la performance;
- non avere a disposizione il tempo necessario per ricondizionare gli atleti possono portare a un aumento del rischio di infortuni;
- le Federazioni Sportive devono avere la consapevolezza che la decisione di quando e come riavviare le attività competitive determina delle conseguenze a livello di salute e di rischio infortuni.
I grandi interessi economici che ruotano intorno all’industria del calcio, ovviamente, hanno premuto verso un’accelerazione della ripresa, ma le Società sono state quelle che hanno dovuto cercare il miglior compromesso tra le esigenze imposte dalla salute degli atleti e la necessità di giocare.
Lo studio riportato all’inizio dell’articolo ha evidenziato alle conseguenze e ai possibili rischi di una veloce ripartenza e, purtroppo, la complessità delle variabili in gioco della situazione non ha permesso ai ricercatori di indicare delle linee guida univoche per una sicura ripresa.
I fattori individuali dei singoli atleti e le svariate situazioni nelle quali si sono trovati nel momento del lockdown, hanno fatto sì che atleti di diverse discipline, e in taluni casi anche appartenenti allo stesso team, hanno svolto allenamenti casalinghi differenti.
Come mai?
Gli Sport Scientist indicano una serie di variabili che hanno inciso sul livello di preparazione:
- le attrezzature e le strutture che hanno avuto a disposizione gli atleti in questo periodo di lockdown;
- il paese nel quale si trovavano;
- l’attitudine psicologiche dell’atleta;
- il livello degli atleti (serie A, B o C);
- i supporti tecnici che hanno avuto a disposizione.
Il riavvio delle attività è stato inoltre diverso per ogni contesto. Ogni Paese ha attuando delle procedure di ripartenza differenti e questo ha influito sulle possibilità di tornare a una regolare attività. Il riavvio, inoltre, è stato condizionato dal tempo a disposizione, dalla possibilità di allenarsi per la ripresa delle competizioni agonistiche – che si prospetta essere per i prossimi mesi molto intensa a causa di un calendario compresso.
Questo ha portato lo staff di ogni team (dal tecnico e dei preparatori atletici, a quello medico e dello sport scientist) a programmare il miglior rientro possibile basandosi sulle conoscenze pregresse sul tema.
Le possibili soluzioni
I ricercatori sostengono che tutti gli staff professionistici hanno abbastanza competenze per identificare le strategie migliori da adottare per il ritorno alle competizioni. Pur considerando, come già detto prima, che ogni atleta e ogni team si è trovato di fronte a delle condizioni differenti per il riavvio (predisposizioni di sicurezza anti covid comprese). Questa situazione non ha permesso agli esperti di dettare delle linee guida puntuali ma ciò, non vuol dire che non possano essere definite, ma che per farlo devono tenere conto delle specifiche condizioni in gioco. Per intenderci, riatletizzare per giocare un calendario regolare è un conto, riatletizzare per giocare una partita ogni due giorni comporta una preparazione differente, tanto più che un portiere e un terzino non avranno bisogno dello stesso allenamento in vista del rientro in campo.
Ma qual è la programmazione necessaria per preparare al meglio la ripartenza degli atleti?
Le decisioni politiche, ancora ad oggi in continua evoluzione, influenzano le restrizioni sugli allenamenti e le differenti situazioni che si trovano di fronte gli atleti rendono difficile la possibilità di definire un allenamento ideale. Questa situazione non deve lasciare intendere agli addetti ai lavori che non ci si debba sforzare di creare delle pratiche sempre più dettagliate, precisano i ricercatori.
Gli esperti suggeriscono che, come si è fatto in ambito medico per la lotta al COVID 19, anche gli Sport Scientist devono ampliare il numero di pubblicazioni in merito al ritorno all’attività agonistica dopo un così lungo stop forzato. I ricercatori dovrebbero creare un network che possa, nel tempo, restituire una più chiara fotografia della situazione sul tema. Oltre a questo si dovrà creare un flusso di informazioni traducibili dall’ambito scientifico al campo di gioco. Gli staff delle squadre professionistiche dovranno registrare più dati possibili riguardo questo rientro all’attività post COVID 19 (carichi di allenamento, tipologie degli infortuni, adattamenti, ecc.) così da creare un database di informazioni che potranno tornare utili nella prossima situazione simile – sempre sperando di non doversi ritrovare ancora in lockdown.
Insomma, ricercatori, staff tecnico e medico delle squadre professionistiche dovrebbero creare un network che porti a un flusso di informazioni che si muova in entrambe le direzioni, questo per affrontare al meglio un evento simile a quello che stiamo vivendo.
Alcuni dati
Anche per questo i ricercatori Franchi, Impellizzeri e Sarto hanno recentemente pubblicato un altro articolo sul giornale scientifico “ Sports Medicine” basato sulle conoscenze precedenti in circostanze simili.
Con il supporto di molti preparatori di club internazionali (non solo appartenenti al mondo del calcio – PSG, Real Madrid, Basilea… ma anche provenienti da NBA -Brooklyn Nets e Philadelphia 76ers – e NFL -NE Patriots e Buffalo Bills) Franchi, Impellizzeri e Sarto hanno preso in esame la letteratura scientifica, rilevando che, dopo 4 settimane di mancato allenamento, l’essere umano ha una diminuzione delle sue capacità cardiocircolatorie (dal 4% al 14% del massimo consumo di ossigeno) e della capacità di adattamento neuromuscolare.
Per questo i ricercatori hanno preso in esame tutti gli studi che parlassero di allettamenti forzati e di inutilizzo temporaneo di un arto (in questi studi i soggetti testati sono persone costrette per molto tempo alle stampelle per mantenere una gamba inattiva). Qui è dimostrato che in un periodo di circa 4 settimane si ha una riduzione della massa muscolare dal 5% al 10%, che può arrivare fino a un massimo di 14% nel caso di allettamento.
Così come, in solo due settimane di degenza a letto, si ha una riduzione della massima contrazione volontaria del 15% e una riduzione della potenza espressa dal muscolo del 10%.
Sapendo che l’infortunio è un evento che si manifesta quando si crea uno squilibrio tra il rapporto del carico di lavoro e la capacità delle strutture di assorbirlo, questi sono dati molto importanti da tenere a mente per i tecnici e i preparatori.
Conclusioni
Queste, tuttavia, non sono le condizioni esatte nelle quali ci siamo trovati nei mesi scorsi: gli unici dati che si hanno su una situazione simile a quella che stanno vivendo ora i nostri sportivi, sono quelli raccolti dallo sciopero durato tre mesi dei giocatori di football americano nel 2011, durante il quale si era evidenziato un incremento degli infortuni a carico dei Tendini di Achille.
Insomma, l’aumento degli infortuni durante la ripresa era prevedibile a causa delle tempistiche che sono state scelte per il rientro alla competizione ma questa situazione dovrebbe essere presa come una sfida dagli esperti del settore per fare meglio di quanto si è fatto fino ad ora. Affidarsi a tecnici preparati che possiedano gli strumenti per valutare lo stato di forma è fondamentale, anche per chi non avrà la pressione di un veloce rientro alle competizioni.
Bibliografia
Sarto F, Impellizzeri FM, Spörri J, Porcelli S, Olmo J, Requena B, Suarez-Arrones L, Arundale A, Bilsborough J, Buchheit M, Clubb J. Impact of potential physiological changes due to COVID-19 home confinement on athlete health protection in elite sports: a call for awareness in sports programming. Sports Medicine (Auckland, Nz). 2020 May 28:1.
Franco M. Impellizzeri, Martino V. Franchi, Fabio Sarto, Tim Meyer & Aaron J. Coutts (2020) Sharing information is probably more helpful than providing generic training recommendations on return to play after COVID-19 home confinement, Science and Medicine in Football, DOI: 10.1080/24733938.2020.1775436